IL MESSAGGERO – Herlitzka conosce se stesso grazie a una ninfa plebea

IL MESSAGGERO – Herlitzka conosce se stesso grazie a una ninfa plebea

Giugno 4, 1999 0 Di Raffaella Ponzo

“Piccolo prodigio laico per un film terso, controllato, molto personale, estraneo a qualsiasi moda. E illuminato dal trasporto di Raffaella Ponzo, che nella vita, chi l’avrebbe mai detto, è una serissima studiosa di antropologia”.

Fabio Ferzetti per Il Messaggero

Cineprime/”Il corpo dell’anima”

Herlitzka conosce se stesso
grazie a una ninfa plebea

di Fabio Ferzetti

ROMA – Un uomo di una certa età, un intellettuale un poco curvo e risentito, vedovo, rassegnato, con qualche acciacco, ritrova il piacere di vivere, il vigore, il desiderio, grazie alla più improbabile delle ninfe: una ragazzotta di periferia sguaiata e carnale, volgare ma sincera, ignorante di tutto ma sapiente amministratrice di se stessa, del proprio corpo, delle gioie e delle umiliazioni che può procurare.
Potremmo essere in zona Moravia (La noia) o Nabokov (Lolita), con echi di Bataille per il tono crudo dell’insieme. Falsa pista. Nel sorprendente Il corpo dell’anima Salvatore Piscicelli non contempla l’ennesimo misantropo marcio di età e di cultura, riportato alla vita (a una parvenza di vita) da una giovane spericolata. Non racconta uno scacco amoroso. Insomma non ritrae un’esistenza al tramonto, bensì il suo riscatto. Anche se il cammino verso la salvezza sarà aspro e faticoso.
La chiave di tutto, lasciata ben in vista, è la sceneggiatura che sta scrivendo il maturo Ernesto (un quintessenziale Roberto Herlitzka), dedicata alla santa e mistica Teresa d’Avila. Non sappiamo se il regista di quel film (Ennio Fantastichini) riuscirà mai a girarlo. Ma quello che scorre sotto i nostri occhi, cioè Il corpo dell’anima, ne è in certo modo la traduzione moderna. Perché l’eros ingenuo e sfrontato di Luana, domestica e poi amante ovvero ”educatrice” di Ernesto, saranno per il maturo intellettuale, a lungo diviso fra attrazione e ripugnanza, un vero cammino verso la conoscenza. Di sé, dell’altro da sé, della gioia che questo incontro può dare. Purché se ne sia degni. Che non significa essere alla sua altezza, anzi.
Per Ernesto si tratta semmai di abbassarsi, di degradarsi. Di rinunciare alla sua corazza di cultura e buon gusto. Di scendere dal piedistallo delle differenze di classe per accettare quanto Luana può offrirgli. E cioè ebbrezza, abbandono, fisicità. Il prezzo è alto, bisogna patire privazioni e umiliazioni (come voleva già santa Teresa). Ma dietro la scorza triviale di Luana, il suo accento strascicato, i filmetti zozzi, le provocazioni con cui esalta o esaspera il povero Ernesto, brilla la promessa di una felicità ignota, quell’estasi, quella rinuncia a se stessi che è l’obiettivo supremo dei mistici. E che consentirà al protagonista, ormai pacificato, di architettare il più inatteso degli happy end.
Piccolo prodigio laico per un film terso, controllato, molto personale, estraneo a qualsiasi moda. E illuminato dal trasporto di Raffaella Ponzo, che nella vita, chi l’avrebbe mai detto, è una serissima studiosa di antropologia.