SETTESERE.it – La faentina Samantha Casella in concorso a Los Angeles con un corto su Bansky
Di sicuro ho avuto la fortuna di lavorare con bravi attori che mi hanno dato tanto, penso in particolare a Elisabetta Rocchetti in un momento di grande fama, o Raffaella Ponzo e Marina Rocco…
Samantha Casella
«In questo lavoro le difficoltà ci sono, e il mondo dei cortometraggi
non porta necessariamente all’ingresso nell’industria cinematografica
“vera”, però mi ritengo fortunata ad essere riuscita a fare i film che
ho diretto. Per questo devo dir grazie ai collaboratori e agli attori in
particolare, che hanno sempre investito tempo e talento nei miei
lavori». Ripete di continuo di essere fortunata Samantha Casella,
regista di origine faentina che si muove nel mondo dei cortometraggi da
oltre 15 anni e col suo nuovissimo I Am Banksy, breve racconto di
fiction sul più chiacchierato street artist contemporaneo, approderà al
Golden State Film Festival di Los Angeles il 26 marzo, mentre in agosto
se la giocherà con gli altri semifinalisti del Los Angeles Independent
Film Festival Awards. E naturalmente non c’è solo fortuna dietro alle
produzioni di un’artista eclettica, che si è formata attraverso l’Isia e
la comunicazione via social, tra un corso di sceneggiatura alla scuola
Holden di Baricco e la scuola di Cinema e Immagine di Giuseppe Ferlito a
Firenze, realizzando negli anni una decina di corti che hanno avuto una
certa fortuna nel circuito dei festival, più all’estero che in Italia.
«Justice, del 2001, era il mio saggio di regia – racconta Samantha -.
Vinse tanti premi e credo abbia convinto il plot, semplice ed efficace,
di un prete che confessava una condannata a morte».
Immagino che la direzione attoriale sia centrale in questo tipo di film.
«Di sicuro ho avuto la fortuna di lavorare con bravi attori che mi hanno
dato tanto, penso in particolare a Elisabetta Rocchetti in un momento
di grande fama, o Raffaella Ponzo e Marina Rocco, ma anche attori
faentini come Rita Gallegati e Matteo Fiori, che compare proprio in I Am
Banksy. A proposito di Faenza, fu Lamberto Fabbri ad instradarmi sulla
via del cinema sperimentale, vedi il documentario su Giuseppe Spagnulo
che feci grazie a lui e che andò alla Biennale o lavori di video-arte
sui jazzisti. Lavori per lo più sperimentali, piaciuti soprattutto
all’estero, poi ho fatto documentari, tra cui uno sullo scultore
Federico Severino, figlio del filosofo Emanuele».
«I Am Banksy» come lo definiresti?
«L’inizio può sembrare documentaristico, quando introduciamo il
personaggio che poi è l’ossessione del giornalista che ne indaga
l’identità [barcamendosi fra “artisti veri”, accademici ambigui,
mitomani da pub, galleristi corruttibili e moderne sacerdotesse di culti
arcaici; il film condensa in pochi minuti un mondo recondito di
complotti, misteri, depistaggi e controdepistaggi, nda], ma di fatto è
un film di fiction con un finale molto aperto. Del resto è giusto che
ciascuno si faccia la sua idea su Bansky, la mia non vale più delle
altre».
Bansky è un vero e proprio «argomento» ormai. Come l’hai affrontato?
«L’idea è nata da un working group di amici e colleghi, tra cui il
montatore del film che ha avuto un ruolo importante, e ci siamo
domandati se Bansky non fosse, in realtà, più una sorta di “sistema” che
non un uomo in carne ed ossa. Con lui è tutto plausibile e implausibile
allo stesso tempo, ci sono opere sue, enormi, che compaiono di punto in
bianco e non possono essere l’opera di un solo artista. Nel film si
immagina quasi un complotto ma io penso che, alla fine, queste trovate
sul suo anonimato servano più che altro ad alimentare l’attenzione su di
lui, e quello che conta sono i messaggi di critica sociale e politica
che Bansky riesce a lanciare. Di sicuro l’anonimato lo aiuta».
Tornando al film, quali le principali difficoltà e soddisfazioni realizzative?
«Muoversi nel mondo del cinema è complesso e il circuito dei corti
rimane slegato dalla grande industria. Non ndo film “sociali” mi muovo
anche fuori dal circuito delle sovvenzioni pubbliche e negli anni ho
affrontato anche progetti che non si sono realizzati, ma come dicevo le
maestranze e gli attori mi hanno sempre ricompensato con la loro bravura
e l’entusiasmo. I Am Banksy esiste grazie a Marco Iannitello, Caterina
Silva, Diego Verdegiglio e tutti gli altri».
Contenta della partecipazione ai festival americani?
«Molto, non era affatto scontato. Il Golden State Film Festival è
cresciuto molto e le premiazioni si terranno al Chines Theater, sulla
Hollywood Blvd, una sala un po’ pacchiana ma davvero mitica, ospitò
anche le premiazioni degli Oscar. Anche più inatteso il fatto di
gareggiare al Los Angeles Independent Film Festival Awards, in agosto.
E’ un’ottima vetrina e ci sono anche produzioni di alto budget».
(f.sav.)