IL TEMPO – PRIME DI CINEMA
PRIME DI CINEMA
di GIANLUIGI RONDI
Il vecchio sceneggiatore del film su Santa Teresa si risveglia alla vita con l’amore d’una colf
IL CORPO DELL’ANIMA, di Salvatore Piscicelli, con Roberto Herlitzka, Raffaella Ponzo, Ennio Fantastichini, Italia, 1999.
LA filmografia di Salvatore Piscicelli è stata abbastanza discontinua. Due film interessanti agli esordi, “Immacolata e Concetta” e “Le occasioni di Rosa”, dove i personaggi e la realtà suburbana di Napoli erano visti con occhi da entomologo. Poi, dopo un film quasi nelle stesse cifre, “Blues Metropolitano”, un operazione solo volutamente di stile, “Regina”, provocatoriamente in bianco e nero, seguito, sette anni fa, da una rivisitazione del tutto ripetitiva e stanca dei temi delle origini, “Baby Gang”. Un nuovo film solo oggi, “Il Corpo dell’Anima”, con un titolo forse infelice, ma narrativamente e linguisticamente molto intenso, con intelligenza e cultura. Al centro, uno sceneggiatore ultrasessantenne, vedovo, isolato da tempo in una casa buia del quartiere Coppedè di Roma. Un regista gli ha chiesto di scrivergli un film su Santa Teresa d’Avila, la grande mistica spagnola. Mentre si accinge all’impresa, narrandoci le tappe con la sua voce fuori campo, cede alla voglia di una giovanissima domestica che, risvegliandolo ai sensi, lo risveglia anche alla vita. Sembrerebbe una situazione più che nota, già trattata da Moravia nella “Noia”, da Nabokov in “Lolita” e dal loro archetipo, il Mann del “Professor Umrath” diventato al cinema, con Sternberg e Marlene Dietrich, “L’Angelo azzurro”. Invece Piscicelli non solo la conclude con un inatteso, anche se forse un po’ inattendibile, lieto fine, ma la affida a un percorso psicologico in cui, questa volta, da entomologo, pur studiando i termini anche i più espliciti del sesso, analizza i moti dell’anima, non a caso suggeriti da quegli amori mistici di Santa Teresa di cui lo sceneggiatore sta scrivendo. Situazioni sottili, illuminate nel profondo dalla voce narrante del protagonista, ma anche personaggi in meditatissimo equilibrio fra l’ironia e, addirittura, uno scoperto umorismo, riuscendo nel difficile intento di evocarci sullo schermo due personaggi totalmente dissimili tra loro senza mai suscitarvi in mezzo fratture di gusto e di tono. Con una precisione, anzi, di risvolti e di climi che, in più momenti, sembrerebbe impossibile da raggiungersi. Vi concorre la fotografia tutta sfumature anche se non priva di impennate di Saverio Guarna, ma il sussidio maggiore lo reca l’interpretazione dei due protagonisti: lui è Roberto Herlitzka, un grande attore di teatro cui il cinema, purtroppo, si rivolge troppo raramente e che qui compone un ritratto di anziano alla Svevo di solida statura, lei è l’esordiente Raffaella Ponzo, non a caso antropologa nella vita, votata a una carnalità solare ma non certo priva di mistero.