DIARIO – RASSEGNA STAMPA – IL CORPO DELL’ANIMA

DIARIO – RASSEGNA STAMPA – IL CORPO DELL’ANIMA

Giugno 16, 1999 0 Di Raffaella Ponzo

Lo Spettatore Esigente

Sono in pochi a possederla, e forse neanche lo sanno. La usano, come ha fatto Piscicelli, per raccontare le cose della vita.

Una voce sola

Di Marco Lodoli

Ci sono artisti che hanno una voce e altri che hanno orecchio. I secondi solitamente raccolgono presto applausi e monete proprio perché, sdraiati sul mondo, sono attenti a recepire, metabolizzare e riprodurre i rumori che brontolano nella pancia del tempo; prima degli altri intuiscono da che parte domani mattina tirerà il vento, che cosa il pubblico sta oscuramente desiderando; possiedono un eccezionale senso del ritmo e sanno accelerarlo e rallentarlo a seconda della stagione; conoscono il tipo di operazione che serve a sommare pere e mele, latta e diamanti, paure e speranze, pensieri e scemenze.

Il loro scopo, per altro nobilissimo, è quello di intrattenere. Per questo osservano bene i lori polli, si fanno in incognito mille giri nel grande mercato ascoltando fremiti, pigolii, starnazzi, annusando il primo odore di un’antipatia o di una predilezione, e passo passo accordano la loro pianola multisuono a quegli umori latenti. Credo che il cinema americano agisca in questo modo, saggiando il terreno per non sbagliare direzione: il regista non vuole certo trovarsi a predicare da solo nel deserto mentre i suoi colleghi brindano nella notte degli Oscar.

Avere orecchio significa dunque avvertire e rispettare le attese della gente, proporsi come difensore del gusto medio, svegliarsi la mattina presto e lavorare sodo per non deludere chi pagherà il biglietto. Altra cosa è avere una voce propria. Sono pochi a possederla, e forse neppure se ne accorgono, perché è semplicemente la loro voce, quella con cui si raccontano le cose della vita, il puro suono della loro anima. Può essere un flauto meraviglioso ma anche una voce roca, sgraziata, catarrosa, o stridula e agitata: ciò che importa è che noi riconosciamo immediatamente in quel timbro e in quel tono il suono di una verità. E’ la tromba malinconica di Chet Baker, il verseggiare leggero di Umberto Saba, la prosa tarmata di Landolfi, è lo sguardo caleidoscopico di Fellini e la pennellata mentale di Morandi, è il catrame di Tom Waits o l’usignolo della Callas. Ma accanto agli artisti universali, anche autori più semplici possono avere una voce personale: non vanno orecchiando frammenti da ricucire con abilità per la collezione del prossimo autunno, ma prendono la parola, la loro unica parola, e dicono.

E’ quello che ha fatto Salvatore Piscicelli, regista sempre lontano dai luoghi di appuntamento, quegli incroci dove tutti gli intellettuali del tempo sentono l’obbligo di passare e dove la banalità prende a spallate. Piscicelli è invece capace di stendere la ragnatela in un angolo tutto suo, defilato, imprevedibile. Il Corpo dell’Anima è un film che conquista subito perché consente a chi lo guarda di arrendersi con fiducia a quella voce, a quello stile. Non c’è l’imbroglio del virtuosismo, degli effetti esagerati, della meraviglia o del raccapriccio a ogni costo per essere attuali: il racconto scorre in piano, con il passo misurato di chi va sicuro per la sua strada perché sa dove andare. Anche la vicenda è piana, perché è perfetta.

Uno sceneggiatore sulla soglia della vecchiaia e della rassegnazione ha bisogno di una nuova donna delle pulizie: gli arriva in casa una ragazza traboccante di vita, straordinariamente sensuale, volgare come sa esserlo una festa di borgata carica di colori e di libertà. Il film è la storia del loro appassionato rapporto erotico, di quel vento giovane che e folate potenti colma la vela lisa della vecchiaia. Vento e vela fanno una coppia bellissima, indimenticabile. Noi seguiamo il loro viaggio amoroso con trepidazione e speranza, e quei due corpi – uno così naturale ed esplosivo, l’altro gualcito come un lenzuolo – ci porta dove non ricordavamo di essere stati, in una ragione nuova ed eterna, là dove per un momento i contrari si urtano, s’abbracciano e liberano quella scintilla che – come suggerisce Piscicelli – illumina nell’estasi “l’oltre” della realtà e subito si spegne.