IL TEMPO – A venticinque anni va la ronda della crisi
Salvatore Piscicelli racconta «Quartetto», un gruppo Di giovani donne trasgressive
Il film è stato girato secondo le regole del gruppo danese «Dogma 95»
di DINA D’ISA
Roma – Sulla scia del movimento danese Dogma, il regista Salvatore Piscicelli, famoso per i suoi film innovatori – come “Le occasioni di Rosa” e “blues Metropolitano” -, torna oggi sul grande schermo con la pellicola “Quartetto”, prodotta e distribuita dalla Lantia ed interpretata – tra gli altri – da Francesco Venditti e Ida Di Benedetto. La storia racconta le vite di quattro attrici (Anna Ammirati, Maddalena Maggi, Beatrice Fazi e Raffaella Ponzo) che mettono in risalto una costante presente nel percorso del regista napoletano, quella del ritratto femminile.
Piscicelli, dalle “Occasioni di Rosa” a “Quartetto”, cosa è mutato nell’evoluzione delle donne?
«Oltre alla condizione è cambiata la posizione stessa delle donne, il meccanismo dei loro rapporti sociali e dei ruoli all’interno della coppia e della famiglia. Trasgressione e conformismo convivono nelle ragazze do oggi che rappresentano la possibilità di ritornare all’origine, all’unità, ma anche all’impossibilità di questo ritorno. In “Quartetto” descrivo il disagio femminile legato ad un momento generazionale preciso, che riguarda in particolare le venticinquenni: sono donne senza una famiglia alle spalle e vivono percio’ il disorientamento dei loro genitori, in modo speculare e al tempo stesso esaltato».
Cosa ha significato per lei accettare le regole del Dogma 95?
«Ho una lettura poco dogmatica del cosiddetto “voto di castità” e cioè delle norme stabilite nel decalogo del groppo danese Dogma. Molti cineasti, me compreso, condividono da tempo con Lars Von Trier il fastidio per un cinema che si riduca e ad espressione di belle immagini convenzionali. Si avverte l’esigenza di un ritorno all’essenza del cinema, al rapporto tra regista e attore che si ridimensiona anche con la presa diretta e con la cinepresa a mano. Per me significa recuperare soprattutto, alle soglie dell’era digitale, uno spirito rosselliniano, di leggerezza e semplicità. La mia è quindi un’adesione alla sostanza di quelle regole, che vuol dire usare la macchina a mano e le luci naturali, con minimi interventi di ambientazione e nessun effetto speciale, offrendo ad un costo minore più ampie risorse tecnico espressive. Non potrei comunque rispettare il punto 10 del decalogo, che vieterebbe al regista di firmare l’opera, cosa contraria alle vigenti leggi italiane sullo spettacolo».
Si tratta quindi di un film più vero rispetto agli altri?
«In un certo senso, sì. I personaggi sono stati costruiti modellandoli sulle loro interpreti e sui loro caratteri: ogni attrice viene coinvolta sullo schermo non solo con la sua interpretazione, ma anche con le proprie esperienze di vita, con la sua personale espressività. Questo iperrealismo non genera però un cinema-verità, ma piuttosto un film di genere, un mix tra commedia e melodramma, ripreso con telecamera Sony Dsr Pd 150P, piccola e versatile, con Camcorder professionale ed editing digitale».